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mercoledì 31 luglio 2013

Papa Francesco ci invita a scommettere.

Nella memoria di Sant'Ignazio di loyola, a tre giorni dalla conclusione della Giornata mondiale
della gioventù, Papa Francesco ha lanciato un nuovo tweet: "Cari giovani - scrive - vale la pena scommettere su Cristo e sul Vangelo, rischiare tutto per grandi ideali!".

domenica 28 luglio 2013

Parole Sante di Papa Francesco.

Santo Padre, quanto è importante la famiglia, oggi, nell’evangelizzazione del "nuovo mondo"?
R. - Non solo direi è importante per l’evangelizzazione del nuovo mondo. La famiglia è importante, è necessaria per la sopravvivenza dell’umanità. Se non c’è la famiglia, è a rischio la sopravvivenza culturale dell’umanità. La base è, ci piaccia o no, la famiglia.

giovedì 25 luglio 2013

Il Papa ai giovani argentini: la fede non è un frullato, non annacquatela.

Il Papa ha ringraziato i giovani per la loro presenza e ha rivolto un saluto anche “ai 30 mila che sono fuori!” e “sono sotto la pioggia”. Aveva chiesto al dr. Alberto Gasbarri, responsabile dei viaggi pontifici, se ci poteva essere un momento per incontrare gli argentini, e poco dopo aveva già aveva sistemato tutto.
Papa Francesco ha detto cosa si aspetta dalla Giornata mondiale della gioventù: “Mi aspetto che facciamo rumore! … Voglio che la Chiesa esca sulle strade; voglio che ci difendiamo da tutto quello che è mondanità, comodità, clericalismo, dall’essere chiusi dentro di noi: le parrocchie, i collegi, le istituzioni devono andare fuori perché altrimenti si convertono in una Ong, e la Chiesa non può essere una Ong!”.
Mi perdonino i vescovi e i sacerdoti – ha detto il Papa – “se qualcuno crea disturbo. Grazie per tutto quello che possono fare”. In questo momento – ha proseguito - la nostra civiltà è passata al “culto del dio denaro”: e ci troviamo di fronte "ad una filosofia e ad una pratica di esclusione dei due poli della vita”, i giovani e gli anziani. C’è una specie di “eutanasia nascosta” – ha rilevato – “perché non si lasciano parlare e agire gli anziani”. E “ai giovani capita lo stesso: non hanno l’esperienza della dignità del lavoro: i giovani non hanno lavoro, e quindi questa civiltà esclude gli anziani ed i giovani. I giovani devono uscire e lottare per i valori" e "gli anziani devono parlare e devono insegnare, trasmettere la sapienza, la saggezza dei popoli". Non devono rinunciare di trasmettere la storia, la memoria dei popoli. E poi, i giovani – ha esortato - "non si mettano contro gli anziani: devono ascoltare gli anziani. Sappiate che in questo momento voi giovani e gli anziani siete condannati allo stesso destino: l’esclusione. Non lasciatevi escludere, non lasciatevi escludere!”.
“La fede in Gesù Cristo – ha poi proseguito - non è uno scherzo: è uno scandalo! Che Dio si sia fatto uno di noi, che sia morto in Croce, è uno scandalo. La Croce continua ad essere scandalo, ma è l’unico cammino sicuro, quello della Croce, l’Incarnazione di Gesù”. Il Papa invita a non annacquare la fede a non farne un frullato: “La fede non può essere un frullato! Non si può fare della fede un frullato! La fede nel Figlio di Dio fatto uomo, che mi ha amato e che è morto per me …”. E ha ribadito: “Dovete fare rumore, disturbare” affinché gli anziani e i giovani “non annacquino la fede”. Per fare questo bisogna leggere il Vangelo delle Beatitudini e il capitolo 25 di Matteo dove si parla del giudizio finale che si baserà sull'amore concreto verso gli altri.
Il Papa ha quindi ringraziato ancora i giovani argentini per la loro vicinanza, li ha benedetti e ha chiesto loro di pregare per lui: “pregate per me, non dimenticatevi di pregare per me”.

mercoledì 24 luglio 2013

Immenso Francesco...

Papa Francesco ha fatto tappa oggi al Santuario di Nostra Signora della Concezione Aparecida, a circa 200 km da Rio de Janeiro: dalla città carioca è giunto in aereo a San José dos Campo, da dove si è poi trasferito in elicottero all’eliporto del Santuario mariano. Quindi è salito sulla jeep bianca non blindata salutando le numerosissime persone che lo attendevano fuori dal Santuario. Più volte ha fatto fermare il veicolo per salutare i fedeli e benedire e baciare i bambini. Nella "Sala dei 12 Apostoli", dove è esposta l’immagine della Vergine si è soffermato brevemente per qualche qualche istante di meditazione e poi ha pronunciato una preghiera a Maria. Dopo è iniziata la Messa.
Nell’omelia, il Papa ha espresso la sua grande gioia di poter essere nella “casa della Madre di ogni brasiliano, il Santuario di Nostra Signora di Aparecida! Il giorno dopo la mia elezione a Vescovo di Roma – ha detto - ho visitato la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, per affidare alla Madonna il mio ministero. Oggi ho voluto venire qui per chiedere a Maria nostra Madre il buon esito della Giornata Mondiale della Gioventù e mettere ai suoi piedi la vita del popolo latinoamericano”.
E' da Maria che si impara ad essere discepoli di Gesù
Il Papa ha voluto dire anzitutto una cosa: “In questo santuario, dove sei anni fa si è tenuta la V Conferenza Generale dell'Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi, è avvenuto un fatto bellissimo di cui ho potuto rendermi conto di persona: vedere come i Vescovi – che hanno lavorato sul tema dell’incontro con Cristo, il discepolato e la missione – si sentivano incoraggiati, accompagnati e, in un certo senso, ispirati dalle migliaia di pellegrini che venivano ogni giorno ad affidare la loro vita alla Madonna: quella Conferenza è stata un grande momento di Chiesa. E, in effetti, si può dire che il Documento di Aparecida sia nato proprio da questo intreccio fra i lavori dei Pastori e la fede semplice dei pellegrini, sotto la protezione materna di Maria. La Chiesa, quando cerca Cristo bussa sempre alla casa della Madre e chiede: “Mostraci Gesù”. E’ da Lei che si impara il vero discepolato. Ed ecco perché la Chiesa va in missione sempre sulla scia di Maria.
I giovani siano artefici di un mondo più giusto, solidale e fraterno
Oggi, guardando alla Giornata Mondiale della Gioventù che mi ha portato in Brasile, anche io vengo a bussare alla porta della casa di Maria – che ha amato ed educato Gesù – affinché aiuti tutti noi, i Pastori del Popolo di Dio, i genitori e gli educatori, a trasmettere ai nostri giovani i valori che li rendano artefici di una Nazione e di un mondo più giusti, solidali e fraterni. Per questo, vorrei richiamare tre semplici atteggiamenti ... tre semplici atteggiamenti: mantenere la speranza, lasciarsi sorprendere da Dio, e vivere nella gioia”.
Mantenere la speranza
Il primo atteggiamento è quello di “mantenere la speranza. La seconda lettura della Messa presenta una scena drammatica: una donna – figura di Maria e della Chiesa – viene perseguitata da un Drago - il diavolo - che vuole divorarne il figlio. Ma la scena non è di morte, ma di vita, perché Dio interviene e mette in salvo il bambino (cfr Ap 12,13a.15-16a). Quante difficoltà ci sono nella vita di ognuno, nella nostra gente, nelle nostre comunità, ma per quanto grandi possano apparire, Dio non lascia mai che ne siamo sommersi. Davanti allo scoraggiamento che potrebbe esserci nella vita, in chi lavora all’evangelizzazione oppure in chi si sforza di vivere la fede come padre e madre di famiglia, vorrei dire con forza: abbiate sempre nel cuore questa certezza: Dio cammina accanto a voi, in nessun momento vi abbandona! Non perdiamo mai la speranza! Non spegniamola mai nel nostro cuore! Il “drago”, il male, c’è nella nostra storia, ma non è lui il più forte. Il più forte è Dio, e Dio è la nostra speranza! È vero che oggi un po’ tutti, e anche i nostri giovani sentono il fascino di tanti idoli che si mettono al posto di Dio e sembrano dare speranza: il denaro, il successo, il potere, il piacere. Spesso un senso di solitudine e di vuoto si fa strada nel cuore di molti e conduce alla ricerca di compensazioni, di questi idoli passeggeri. Cari fratelli e sorelle, siamo luci di speranza! Abbiamo uno sguardo positivo sulla realtà. Incoraggiamo la generosità che caratterizza i giovani, accompagniamoli nel diventare protagonisti della costruzione di un mondo migliore: sono un motore potente per la Chiesa e per la società. Non hanno bisogno solo di cose, hanno bisogno soprattutto che siano loro proposti quei valori immateriali che sono il cuore spirituale di un popolo, la memoria di un popolo. In questo Santuario, che fa parte della memoria del Brasile, li possiamo quasi leggere: spiritualità, generosità, solidarietà, perseveranza, fraternità, gioia; sono valori che trovano la loro radice più profonda nella fede cristiana”.
Lasciarsi sorprendere da Dio
Il Papa ha definito poi il secondo atteggiamento: “lasciarsi sorprendere da Dio. Chi è uomo, donna di speranza - la grande speranza che ci dà la fede - sa che, anche in mezzo alle difficoltà, Dio agisce e ci sorprende. La storia di questo Santuario ne è un esempio: tre pescatori, dopo una giornata a vuoto, senza riuscire a prendere pesci, nelle acque del Rio Parnaíba, trovano qualcosa di inaspettato: un'immagine di Nostra Signora della Concezione. Chi avrebbe mai immaginato che il luogo di una pesca infruttuosa sarebbe diventato il luogo in cui tutti i brasiliani possono sentirsi figli di una stessa Madre? Dio sempre stupisce, come il vino nuovo nel Vangelo che abbiamo ascoltato. Dio riserva sempre il meglio per noi. Ma chiede che noi ci lasciamo sorprendere dal suo amore, che accogliamo le sue sorprese. Fidiamoci di Dio! Lontano da Lui il vino della gioia, il vino della speranza, si esaurisce. Se ci avviciniamo a Lui, se rimaniamo con Lui, ciò che sembra acqua fredda, ciò che è difficoltà, ciò che è peccato, si trasforma in vino nuovo di amicizia con Lui”.
Vivere nella gioia
Il terzo atteggiamento – ha detto - è “vivere nella gioia. Cari amici, se camminiamo nella speranza, lasciandoci sorprendere dal vino nuovo che Gesù ci offre, nel nostro cuore c’è gioia e non possiamo che essere testimoni di questa gioia. Il cristiano è gioioso, non è mai triste. Dio ci accompagna. Abbiamo una Madre che sempre intercede per la vita dei suoi figli, per noi, come la regina Ester nella prima lettura (cfr Est 5, 3). Gesù ci ha mostrato che il volto di Dio è quello di un Padre che ci ama. Il peccato e la morte sono stati sconfitti. Il cristiano non può essere pessimista! Non ha la faccia di chi sembra trovarsi in un lutto perpetuo. Se siamo davvero innamorati di Cristo e sentiamo quanto ci ama, il nostro cuore si “infiammerà” di una gioia tale che contagerà quanti vivono vicini a noi. Come ha detto Benedetto XVI, qui in questo Santuario: “Il discepolo è consapevole che senza Cristo non c'è luce, non c'è speranza, non c'è amore, non c'è futuro” (Discorso inaugurale della Conferenza di Aparecida [13 maggio 2007]: Insegnamenti III/1 [2007], p. 861)”.
Impegnarsi a fare quello che dice Gesù
Il Papa ha così concluso la sua omelia: “Cari amici, siamo venuti a bussare alla porta della casa di Maria. Lei ci ha aperto, ci ha fatto entrare e ci mostra suo Figlio. Ora Lei ci chiede: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2, 5). Sì, Madre, noi ci impegniamo a fare quello che Gesù ci dirà! E lo faremo con speranza, fiduciosi nelle sorprese di Dio e pieni di gioia. Così sia”.
Al termine della Messa il Papa si è affacciato dal balcone del Santuario per salutare e benedire i tanti fedeli radunati fuori della Basilica. Parlando in spagnolo, li ha ringraziati per la loro presenza: "Che la Madonna Aparecida benedica tutti voi" - ha detto - "una madre non si dimentica dei figli". Poi ha chiesto un favore: "Pregate per me, ne ho bisogno!". Quindi, nel saluto finale, ha promesso di tornare nel 1917, a 300 anni dal ritrovamento dell'immagine della Vergine Aparecida.

Siamo nei tempi.....

Apocalisse 3,8-12

Così parla il Santo, il Verace,
Colui che ha la chiave di Davide:
quando egli apre nessuno chiude,
e quando chiude nessuno apre.

[8]Conosco le tue opere. Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forza, pure hai osservato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. [9]Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di satana - di quelli che si dicono Giudei, ma mentiscono perché non lo sono -: li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato. [10]Poiché hai osservato con costanza la mia parola, anch'io ti preserverò nell'ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra. [11]Verrò presto. Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona. [12]Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo, da presso il mio Dio, insieme con il mio nome nuovo.

lunedì 22 luglio 2013

Angelus: preghiera e servizio al prossimo essenziali per la fede. Il Papa chiede preghiere per il viaggio a Rio

Al centro della riflessione del Papa, la pagina del Vangelo di questa domenica che ci parla delle due sorelle Marta e Maria. Nell’ospitare il Signore nella loro casa a Betania, Marta è presa dai molti servizi, mentre Maria, ai piedi di Gesù, ascolta la sua parola. Marta se ne lamenta, vorrebbe essere aiutata dalla sorella, ma il Signore la rimprovera "con dolcezza" rispondendo che “di una cosa sola c’è bisogno”. Il Papa, spiegando il testo, fa una precisazione:
“Anzitutto è importante capire che non si tratta della contrapposizione tra due atteggiamenti: l’ascolto della parola del Signore, la contemplazione, e il servizio concreto al prossimo. Non sono due atteggiamenti contrapposti, ma, al contrario, sono due aspetti entrambi essenziali per la nostra vita cristiana; aspetti che non vanno mai separati, ma vissuti in profonda unità e armonia”.
Ma allora – domanda il Papa - perché Marta riceve il rimprovero di Gesù, anche se fatto con dolcezza?
“Perché ha ritenuto essenziale solo quello che stava facendo, era cioè troppo assorbita e preoccupata dalle cose da ‘fare’. In un cristiano, le opere di servizio e di carità non sono mai staccate dalla fonte principale di ogni nostra azione: cioè, l’ascolto della Parola del Signore, lo stare - come Maria - ai piedi di Gesù, nell’atteggiamento del discepolo”.
Di qui l’esortazione di Papa Francesco:
“Anche nella nostra vita cristiana, cari fratelli e sorelle, preghiera e azione siano sempre profondamente unite. Una preghiera che non porta all’azione concreta verso il fratello povero, malato, bisognoso di aiuto, fratello in difficoltà, è una preghiera sterile e incompleta. Ma, allo stesso modo, quando nel servizio ecclesiale si è attenti solo al fare, si dà più peso alle cose, alle funzioni, alle strutture, e ci si dimentica della centralità di Cristo, non si riserva tempo per il dialogo con Lui nella preghiera, si rischia di servire se stessi e non Dio presente nel fratello bisognoso”.
San Benedetto – ha aggiunto - riassumeva lo stile di vita che indicava ai suoi monaci in due parole: “ora et labora”, prega e opera:
“E’ dalla contemplazione, da un forte rapporto di amicizia con il Signore che nasce in noi la capacità di vivere e di portare l’amore di Dio, la sua misericordia, la sua tenerezza verso gli altri. E anche il nostro lavoro con il fratello bisognoso, il nostro lavoro di carità nelle opere di misericordia, ci porta il Signore, perché noi guardiamo proprio al Signore nel fratello e la sorella bisognosi”.
Quindi, ha elevato la sua preghiera a Maria, “Madre dell’ascolto e del servizio, che ci insegni a meditare nel nostro cuore la Parola del suo Figlio, a pregare con fedeltà, per essere sempre di più attenti concretamente alle necessità dei fratelli”.
Infine, durante i saluti dopo la recita dell’Angelus, il Papa - vedendo uno striscione con scritto "Buon viaggio!" - ha chiesto ai fedeli di accompagnarlo spiritualmente con la preghiera nella sua missione apostolica a Rio de Janeiro, per la Gmg:
"Ci saranno tanti giovani, laggiù, da tutte le parti del mondo. E penso che questa si può chiamare la Settimana della Gioventù: ecco, proprio la Settimana della Gioventù! I protagonisti in questa settimana saranno i giovani. Tutti coloro che vengono a Rio vogliono sentire la voce di Gesù, ascoltare Gesù: ‘Signore, che cosa devo dare della mia vita? Qual è la strada per me?’. Anche voi – non so se ci sono giovani oggi qui, in piazza: ci sono giovani? Ecco: anche voi, giovani che siete in piazza, fate la stessa domanda al Signore: ‘Signore Gesù, che cosa devo fare della mia vita? Qual è la strada per me?’. Affidiamo all’intercessione della Beata Vergine Maria, tanto amata e venerata in Brasile, queste domande: quella che faranno i giovani laggiù, e questa che fate voi, oggi. E che la Madonna ci aiuti in questa nuova tappa del pellegrinaggio. A tutti auguro una buona domenica! Buon pranzo. Arrivederci!".

martedì 16 luglio 2013

LA BELLA RIVOLUZIONE DI FRANCESCO

LA BELLA RIVOLUZIONE DI FRANCESCO

La Chiesa Cattolica vive una stagione di svolte epocali. La rinuncia al papato di Benedetto XVI, a febbraio, è stato un gesto storico di enorme portata, che ha messo in evidenza la drammaticità dei tempi.
L’arrivo poi, sulla Cattedra di Pietro, il 13 marzo, di papa Francesco è, fin dalla scelta del nome, l’inizio di una “rivoluzione” evangelica che già commuove i popoli (lo vedremo anche in Brasile col prossimo viaggio).
Di sicuro cambierà il Vaticano come lo conosciamo da alcuni secoli: da “corte rinascimentale” (per dirla con papa Bergoglio) diventerà la casa del Re umile e crocifisso, che abbraccia – come il colonnato del Bernini – tutte le miserie del mondo.
L’altro ieri un amico ed ex alunno del papa, lo scrittore e giornalista argentino Jorge Milia, ha riferito i suoi colloqui telefonici col pontefice. E ha dato flash illuminanti.
Ha sottolineato anzitutto “la riconoscenza e la tenerezza” che Francesco ha per il suo predecessore: “a me fa un po’ l’effetto di uno che ha ritrovato un vecchio amico”.
“Non ti immagini l’umiltà e la saggezza di quest’uomo” gli ha detto papa Francesco parlando di Benedetto XVI.
“Allora tienilo vicino”, gli ha risposto lo scrittore. E il papa: “non ci penso nemmeno a rinunciare al consiglio di una persona del genere, sarebbe sciocco da parte mia!”.
Poi Jorge Milia ha parlato della gran quantità di gente che accorre in piazza San Pietro per sentire le sue parole e abbracciarlo. E Francesco: “Lo devono poter fare! E’ mio dovere ascoltarli, confortarli, pregare con loro, stringergli le mani perché sentano che non sono soli”.
Ma Francesco ha aggiunto che non è facile far capire questa necessità in Vaticano, dove sono abituati a un’immagine del papa come entità inaccessibile.
“Non è stato facile, Jorge, qui ci sono molti ‘padroni’ del Papa e con molta anzianità di servizio”, ha detto il Santo Padre. Ha fatto capire che ogni cambiamento è durissimo da far digerire. A cominciare dalla scelta di non andare ad abitare il mitico “Appartamento” papale.
Egli ha preso questa decisione perché molti papi lassù hanno finito col diventare “prigionieri” delle loro segreterie e non voleva che accadesse così anche a lui: “Sono io che decido chi vedere, non i miei segretari…”.
Jorge Milia aggiunge: “Mi ha detto che i Papi sono stati isolati per secoli e che questo non va bene, il posto del Pastore è con le sue pecore …”.
E’ un pensiero che il Pontefice ha espresso più volte. Può sembrare solo una sua personale propensione alla cordialità, all’affabilità, alla compassione, ma non è solo questo. E’ molto di più. E’ una rivoluzione nella concezione del papato. Almeno quella dell’ultimo millennio.
Certo, già i suoi predecessori, a partire da Paolo VI, hanno iniziato un progressivo smantellamento della pesantezza regale della Curia. Giovanni Paolo II preferiva stare per le strade del mondo, anziché in Vaticano.
E Benedetto XVI ha sparato fulmini contro “carrierismo, clericalismo, mondanità, divisioni, ambizioni di potere”, ha richiamato anche lui alla povertà evangelica e ha usato la bomba atomica contro “la sporcizia nella Chiesa”.
Ora c’è papa Francesco e ha cominciato a realizzare (pare in modo travolgente) tutto quello che il predecessore aveva chiesto mille volte. Ma ciò che si preannuncia non è solo un rinnovamento di persone (tipico di ogni pontificato) e un forte cambiamento delle strutture: è un radicale mutamento del modo stesso di fare il Papa.
Francesco cerca di riportare tutta la Chiesa all’essenziale, alle sue origini apostoliche, in una parola: a Gesù Cristo. Come fece san Francesco nel XII secolo.
Il giovane di Assisi era nella cadente chiesina di San Damiano, quando si sentì rivolgere dal Crocifisso queste parole: “Va Francesco, e ripara la mia casa che, come vedi, va in rovina”.
Lui le interpretò alla lettera e si mise a ricostruire materialmente quella cappellina. Ma la sua pronta sequela alle parole di Gesù riparò tanti cuori feriti e alla fine la Chiesa stessa come edificio spirituale.
Così è per il Papa che ha scelto il nome del santo di Assisi. Anche lui ricomincia dall’essenziale, l’annuncio di Gesù, consolazione e tenerezza di Dio per gli uomini e specialmente per i più poveri e sofferenti.
Le altre due parole chiave di questo pontificato sono la “misericordia” (“Dio perdona sempre, perdona tutto. Siamo noi che ci stanchiamo di farci perdonare”) e la “preghiera”  (ripete sempre: “E’ necessaria una preghiera forte, e questa preghiera umile e forte fa che Gesù possa fare il miracolo… Una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare a quel miracolo La preghiera fa miracoli, ma dobbiamo credere!”).
Non è che a papa Francesco sfugga l’enormità dell’attacco che il mondo, su tutti i fronti, sta portando alla Chiesa. Ma di che natura è questo attacco? Permangono le grandi persecuzioni ai cristiani in tutto il mondo islamico e sotto i regimi tirannici (dalla Cina al Vietnam, da Cuba ai diversi paesi africani).
E a questo, dopo il crollo del comunismo in Europa, venti anni fa, quando la Chiesa non serviva più come argine contro il marxismo, si è sommata l’ostilità anticristiana che dilaga dagli Usa di Clinton e di Obama, all’Europa della tecnocrazia.
Si attacca non solo la fede cristiana, ma anche le fondamenta della legge naturale: la famiglia, unione di uomo e donna, che è stata la base di tutte le civiltà, dall’antichità prima di Cristo ad oggi, è ormai radicalmente travolta e svuotata.
Dagli anni di Clinton (che videro anche il dirompente ingresso nel WTO della Cina) è stata proclamato nel mondo occidentale il nuovo “pensiero unico”: una totale “deregulation” sia degli scambi economico-finanziari che dei rapporti umani.
Nel primo caso – con l’esplosione della bolla finanziaria del 2008 – si è giunti sull’orlo della bancarotta planetaria. Nel secondo caso ad una svolta devastante nella storia della civiltà.
C’è stata pure la parentesi “conservatrice” di George Bush jr che, dopo l’11 settembre 2001, tendeva ad arruolare la religione cristiana in una sorta di “scontro di civiltà” e di religioni con l’Islam.
E la Chiesa di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI – che pure conoscevano le sofferenze dei cristiani sotto l’Islam – ha dovuto rifiutare quell’arruolamento, sia perché sarebbe stato empio mettere il sigillo di Cristo a dei conflitti che avevano lo scopo di garantire l’approvvigionamento energetico dell’Occidente. Sia perché a pagarne le conseguenze sarebbero state le minoranze cristiane nei paesi islamici (come in effetti è accaduto).
Adesso che la Chiesa è sotto un assedio perfetto – da una parte Usa ed Europa anticristiani – dall’altra i regimi persecutori in Asia, Africa e paesi musulmani, Papa Francesco esce da questa tenaglia storica – che minaccia la sopravvivenza stessa della Chiesa – con l’unica arma irresistibile con cui sempre la Chiesa ha sempre vinto nel corso dei secoli sulle persecuzioni: il Vangelo (o, come direbbe il Papa, “la grazia”).
E’ falso che il papa – come gli rimproverano i cattoconservatori e come desidererebbero i cattoprogressisti – abbia accantonato l’insegnamento dei predecessori sui “valori non negoziabili” (lo dimostra la sua prima enciclica “Lumen Fidei”).
Semplicemente papa Francesco sa che, al punto in cui siamo arrivati, non ha più senso che la Chiesa si sfianchi in una battaglia culturale o in un’azione politica per scongiurare, con mezzi umani, il crollo di una civiltà e le “invasioni barbariche”.
La Chiesa sa che solo la grazia Cristo le è indispensabile. Ecco perché oggi il Papa chiede la conversione (a cominciare dallo smantellamento della “curia rinascimentale”); la preghiera incessante che ottiene miracoli; lo stupore per Gesù che “bacia le sue piaghe” nei poveri, nei malati e nei disperati; l’annuncio e l’esperienza della misericordia di Dio per gli uomini.
E’ così che duemila anni fa il cristianesimo ha conquistato pacificamente il mondo e lo ha ricostruito. E così accadrà di nuovo.

Antonio Socci

lunedì 15 luglio 2013

Chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.

Chi vorrà tenersi stretta la sua vita bella e comoda,non esponendosi per Cristo,come ripete sempre Papa francesco,non è adatto per il regno dei cieli.Parole pesanti,ma vere come dice Gesù anche nel vangelo di oggi.Sempre Papa Francesco dice:"Chi non prega Gesù,prega il diavolo";senza mezzi termini mette dinnanzi a tutta l'umanità la VIA,VERITA' e VITA che è SOLO in CRISTO e in nessun altra religione. Gesù si farà conoscere a tutti prima del Suo glorioso ed imminente ritorno,non adagiamoci,non siamo cristiani da "salotto",abbandoniamo i legami terreni,come ripete Gesù nel vangelo odierno.Il tempo ormai è vicino,tutto è pronto alla grande rivelazione,non affanniamoci a forzare incontri e unioni materiali,tutto DEVE NECESSARIAMENTE AVVENIRE PRIMA SPIRITUALMENTE IN OGNUNO DI NOI NEL LIBERO ARBITRIO,se questo non avviene restiamo nella vecchia chiesa,nel mero rito e nel "presenziarlo solamente". Prima dobbiamo lasciarci alle spalle il vecchio uomo,la vecchia donna,poi nell'offerta di ognuno  a CRISTO allora saremo uniti e Lui ci riunirà secondo la Sua volontà.
Che DIO vi BENEDICA. 

Mt 10,34- 11,1
In quel temàpo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l'uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa.
Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.
Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città.



sabato 13 luglio 2013

Papa Francesco e il "non abbiate paura": un cristiano è fiero di andare controcorrente

E’ un’espressione rassicurante e allo stesso tempo uno sprone a cambiare la propria vita. Nel passo del Vangelo di oggi, Gesù per ben quattro volte ripete ai discepoli: “Non abbiate paura” e cala questa affermazione nella realtà di ogni giorno. Non si può, infatti, aver paura perché “nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto”. Da qui la certezza di essere sulla strada giusta solo se si è accanto al Padre, solo se – sottolinea Papa Francesco – si diventa persone rette dunque buoni cristiani:
“Persone rette, che non hanno paura di andare controcorrente! E noi, non dobbiamo avere paura! Fra voi ci sono tanti giovani. A voi giovani dico: Non abbiate paura di andare controcorrente, quando ci vogliono rubare la speranza, quando ci propongono questi valori che sono avariati (...) questi valori ci fanno male. Dobbiamo andare controcorrente! E voi giovani, siate i primi: Andate controcorrente e abbiate questa fierezza di andare proprio controcorrente. Avanti, siate coraggiosi e andate controcorrente! E siate fieri di farlo!".
Ma c’è di più nel Vangelo. Gesù indica concretamente cosa fare: “Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze”. E’ l’evangelizzazione che – ha affermato Papa Francesco – “chiede da noi un vero coraggio per questa lotta interiore” e per le difficoltà che comporta “la spina di Satana”:
"Questo si chiama – non vi spaventate – si chiama martirio: il martirio è questo. Fare la lotta, tutti i giorni, per testimoniare. Questo è martirio. E ad alcuni il Signore chiede il martirio della vita. Ma c’è il martirio di tutti i giorni, di tutte le ore: la testimonianza contro lo spirito del male che non vuole che noi siamo evangelizzatori".
"Una lotta contro la tristezza, contro l’amarezza, contro il pessimismo – ha evidenziato il Papa – seminare non è facile ma è bello raccogliere”. La Chiesa vanta innumerevoli e luminose figure di “seminatori”, esempi di dedizione e di amore al Vangelo:
“In duemila anni sono una schiera immensa gli uomini e le donne che hanno sacrificato la vita per rimanere fedeli a Gesù Cristo e al suo Vangelo. E oggi, in tante parti del mondo, ci sono tanti, tanti, - più che nei primi secoli – tanti martiri, che danno la propria vita per Cristo, che sono portati alla morte per non rinnegare Gesù Cristo. Questa è la nostra Chiesa. Oggi abbiamo più martiri che nei primi secoli”.
L’unica cosa che chiede Gesù è di essere accolto e dunque di non essere taciuto. Questo implica l’andare, l’uscire fuori da se stessi per cercare – come ripete spesso Papa Francesco – le periferie materiali ed esistenziali. I discepoli del Crocifisso – ha detto più volte il Pontefice – non possono negare l’annuncio del Signore. Non si può tenere solo per sé la grazia ricevuta:
“Noi abbiamo ricevuto questa gratuità, questa grazia, gratuitamente; dobbiamo darla, gratuitamente. E questo è quello che, alla fine, voglio dirvi. Non avere paura, non avere paura. Non avere paura dell’amore, dell’amore di Dio, nostro Padre. Non avere paura. Non avere paura di ricevere la grazia di Gesù Cristo, non avere paura della nostra libertà che viene data dalla grazia di Gesù Cristo o, come diceva Paolo: 'Non siete più sotto la Legge, ma sotto la grazia'. Non avere paura della grazia, non avere paura di uscire da noi stessi, non avere paura di uscire dalle nostre comunità cristiane per andare a trovare le 99 che non sono a casa. E andare a dialogare con loro, e dire loro che cosa pensiamo, andare a mostrare il nostro amore che è l’amore di Dio”.

venerdì 12 luglio 2013

Le perle dello SPIRITO di Francesco

Diverse volte Papa Francesco ha parlato della persecuzione ai cristiani e della perseveranza. “Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi”, dice Gesù agli Apostoli nel Vangelo di oggi annunciando loro che saranno consegnati ai tribunali ma ricordandogli che “chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato”. Un Vangelo in cui Gesù invita ad essere semplici come colombe e astuti come serpenti. Alla vigilia del quarto mese dall’elezione di Papa Francesco, ripercorriamo alcune sue riflessioni prendendo spunto da questo brano del Vangelo. Il servizio di Debora Donnini:
Essere cristiani significa seguire Gesù e per questo diverse volte Papa Francesco ha ricordato che non dobbiamo avere paura di essere perseguitati. “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome”, dice Gesù nel Vangelo di oggi:
“La strada dei cristiani è la strada di Gesù. Se noi vogliamo essere seguaci di Gesù, non c’è un’altra strada: quella che Lui ha segnato. E una delle conseguenze di questo è l’odio, è l’odio del mondo, e anche del principe di questo mondo. Il mondo amerebbe ciò che è suo. ‘Vi ho scelti io, dal mondo’: è stato Lui proprio che ci ha riscattato dal mondo, ci ha scelti: pura grazia! Con la sua morte, con la sua resurrezione, ci ha riscattati dal potere del mondo, dal potere del diavolo, dal potere del principe di questo mondo. E l’origine dell’odio è questa: siamo salvati. E quel principe che non vuole, che non vuole che noi siamo stati salvati, odia”. (Messa a Santa Marta, 4 maggio 2013)
Papa Francesco ricorda anche che “con il principe di questo mondo non si può dialogare”, ma “soltanto rispondere con la Parola di Dio che ci difende”. Bisogna avere umiltà e mitezza come una pecorella perché senza un Pastore che difenda si cade nelle mani dei lupi:
“Pensiamo a Gesù nella sua Passione. Il suo Profeta dice: ‘Come una pecora che va al mattatoio’. Non grida, niente: l’umiltà. Umiltà e mitezza. Queste sono le armi che il principe del mondo e lo spirito del mondo non tollera, perché le sue proposte sono proposte di potere mondano, proposte di vanità, proposte di ricchezze male acquisite, sono proposte così”.
In questo Vangelo dunque Gesù parla della missione. L’evangelizzazione è stata al centro di molti discorsi e omelie di Papa Francesco che spesso ha esortato ad andare alle “periferie esistenziali”:
“Oggi possiamo chiedere allo Spirito Santo che ci dia questo fervore apostolico a tutti noi, anche ci dia la grazia di dare fastidio alle cose che sono troppo tranquille nella Chiesa; la grazia di andare avanti verso le periferie esistenziali. Tanto bisogno ha la Chiesa di questo! Non soltanto in terra lontana, nelle chiese giovani, nei popoli che ancora non conoscono Gesù Cristo, ma qui in città, in città proprio, hanno bisogno di questo annuncio di Gesù Cristo. Dunque chiediamo allo Spirito Santo questa grazia dello zelo apostolico, cristiani con zelo apostolico. E se diamo fastidio, benedetto sia il Signore. Avanti, come dice il Signore a Paolo: ‘Coraggio’”! (Messa a Santa Marta, 16 maggio 2013)
Nel Vangelo di oggi Gesù dice ai suoi apostoli che saranno consegnati ai tribunali, flagellati, condotti davanti a governatori e re “per causa mia”, “per dare testimonianza a loro e ai pagani”, ma li invita a non preoccuparsi di cosa dire perché “è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi”. Gli ricorda però anche che saranno “odiati da tutti” a causa del suo nome. Una realtà, quella della persecuzione, che attraversa i secoli e arriva fino noi:
“Ma il tempo dei martiri non è finito: anche oggi possiamo dire, in verità, che la Chiesa ha più martiri che nel tempo dei primi secoli. La Chiesa ha tanti uomini e donne che sono calunniati, che sono perseguitati, che sono ammazzati in odio a Gesù, in odio alla fede: questo è ammazzato perché insegna catechismo, questo viene ammazzato perché porta la croce… Oggi, in tanti Paesi, li calunniano, li perseguono… sono fratelli e sorelle nostri che oggi soffrono, in questo tempo dei martiri”. (Messa a Santa Marta, 15 aprile 2013)
“Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato”, ricorda infine Gesù nel Vangelo. Papa Francesco spiega, infatti, da dove venga ai primi discepoli la forza di testimoniare, la gioia e il coraggio malgrado gli ostacoli e le violenza e, così facendo, poter “riempire Gerusalemme con il loro insegnamento”:
"E’ chiaro che solo la presenza con loro del Signore Risorto e l’azione dello Spirito Santo possono spiegare questo fatto. E’ il Signore che era con loro e lo Spirito che li spingeva alla predicazione spiega questo fatto straordinario. La loro fede si basava su un’esperienza così forte e personale di Cristo morto e risorto, che non avevano paura di nulla e di nessuno, e addirittura vedevano le persecuzioni come un motivo di onore, che permetteva loro di seguire le orme di Gesù e di assomigliare a Lui, testimoniandolo con la vita”. (Regina Coeli, 14 aprile 2013)
Se una persona incontra Cristo, dunque, risponde con “amore” e “forza della verità” e ricorda ancora Papa Francesco: “L’amore fraterno è la testimonianza più vicina che noi possiamo dare del fatto che Gesù è con noi vivo, che Gesù è risorto”.

Daje a'Fransceeeee.....

Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?”. La domanda che Pietro rivolge a Gesù nel Vangelo di oggi non ha data di scadenza. Ogni generazione della Chiesa la ripete al suo Capo, per sentirsi ogni volta offrire da Lui la misura di un contraccambio senza misura: “Cento volte tanto” oggi e l’eredità della “vita eterna” domani. Una richiesta netta e una offerta limpida. Eppure, ha rilevato Papa Francesco, un problema nasce quando, nel decidere di seguire Gesù, il “contraente” più fragile, l’uomo, comincia a fare calcoli di interesse e lucro invece di mettere sul piatto una sola moneta, quella della magnanimità, della larghezza di cuore, sull’esempio di Gesù, il Contraente forte. Una tentazione, ammette il Papa, che affligge un po’ tutti i cristiani:
“Seguire Gesù come una forma culturale (…) Se si segue Gesù come una proposta culturale, si usa questa strada per andare più in alto, per avere più potere. E la storia della Chiesa è piena di questo, cominciando da alcuni imperatori e poi tanti governanti e tante persone, no? E anche alcuni - non voglio dire tanti ma alcuni - preti, alcuni vescovi, no? Alcuni dicono che sono tanti… ma alcuni che pensano che seguire Gesù è fare carriera”.
Sgomberato il campo da ciò inquina il rapporto tra chi chiede e chi offre, Papa Francesco mostra un altro guadagno che va ad arricchire colui o colei che ha scelto la sequela di Cristo, qualsiasi sia la sua vocazione: chi crede non lo fa da solo, ma in una casa e in una comunità grandi quanto il mondo, la Chiesa. E la Chiesa, afferma, è la “Madre che ci dà l’identità”:
“L’identità cristiana è l’appartenenza alla Chiesa (...) perché, trovare Gesù fuori della Chiesa non è possibile (...) E quella Chiesa Madre che ci dà Gesù ci dà l’identità che non è soltanto un sigillo: è un’appartenenza. Identità significa appartenenza”.
E l’appartenenza non può essere che forte, se si considera che l’identità cristiana è stata acquistata a prezzo del sangue, dal Calvario di duemila anni fa ai Golgota sui quali muoiono i cristiani di oggi. Ma anche qui, Papa Francesco mette in guardia. Seguire Gesù fino al centuplo e alla vita eterna è una scelta definitiva che stride con quel “fascino del provvisorio” che spesso seduce anche l’uomo di fede, che al salto verso un impegno definitivo preferisce mille passettini che girano in tondo:
“Ho sentito di uno che voleva diventare prete, ma per dieci anni, non di più… Quante coppie, quante coppie si sposano, senza dirlo, ma nel cuore: ‘fin che dura l’amore e poi vediamo…’ Il fascino del provvisorio: questa è una ricchezza (...) Io penso a tanti, tanti uomini e donne che hanno lasciato la propria terra per andare come missionari per tutta la vita: quello è il definitivo!”.
All’ambiguo fascino del provvisorio, Papa Francesco ha sempre opposto una schietta direzione di marcia, quella che punta verso le “periferie dell’esistenza”. E per uscire e avviarsi in quella direzione – che è poi seguire Cristo sullo stile di San Benedetto e del suo “ora et labora” – bisogna prima uscire dall’angolo in ombra del cuore grazie alla luce dalla preghiera. Quella che funge da “navigatore” e conferma che non si è “cristiani da salotto”, con le facce tristi “da peperoncini all’aceto”, ma uomini e donne che prima in ginocchio e poi in azione sono in cammino verso la promessa del centuplo e della vita eterna:
“La preghiera verso il Padre in nome di Gesù ci fa uscire da noi stessi; la preghiera che ci annoia è sempre dentro noi stessi, come un pensiero che va e viene (…) Se noi non riusciamo ad uscire da noi stessi verso il fratello bisognoso, verso il malato, l’ignorante, il povero, lo sfruttato, se noi non riusciamo a fare questa uscita da noi stessi verso quelle piaghe, non impareremo mai la libertà che ci porta nell’altra uscita da noi stessi, verso le piaghe di Gesù. Ci sono due uscite da noi stessi: una verso le piaghe di Gesù, l’altra verso le piaghe dei nostri fratelli e sorelle. E questa è la strada che Gesù vuole nella nostra preghiera”.

giovedì 11 luglio 2013

Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole

Pr 2,1-9
Dal libro dei Proverbi
Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole e custodirai in te i miei precetti, tendendo il tuo orecchio alla sapienza, inclinando il tuo cuore alla prudenza, se appunto invocherai l'intelligenza e rivolgerai la tua voce alla prudenza, se la ricercherai come l'argento e per averla scaverai come per i tesori, allora comprenderai il timore del Signore e troverai la conoscenza di Dio, perché il Signore dà la sapienza, dalla sua bocca escono scienza e prudenza. 
Egli riserva ai giusti il successo, è scudo a coloro che agiscono con rettitudine, vegliando sui sentieri della giustizia e proteggendo le vie dei suoi fedeli. 
Allora comprenderai l'equità e la giustizia, la rettitudine e tutte le vie del bene.

Matteo 19,27-29

27 Allora Pietro prendendo la parola disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?». 28 E Gesù disse loro: «In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. 29 Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna.

lunedì 8 luglio 2013

Il Papa a Lampedusa: chi ha pianto per quanti sono morti in mare? No a globalizzazione dell'indifferenza.

La periferia che diventa centro, gli ultimi che diventano i primi. E’ il “miracolo” compiuto da Francesco a Lampedusa. Il Papa doveva venire qui, lui stesso confida questa necessità del cuore. Doveva guardare, sentire, abbracciare chi soffre e chi si fa ogni giorno “buon samaritano” per gli ultimi. Alla Messa, dal palco, può scorgere le carcasse delle imbarcazioni dei migranti. E il suo pastorale – come il calice, l’ambone, l’altare – è realizzato con il legno delle barche che ogni giorno solcano il mare di Lampedusa. Simboli, come la scelta delle letture e i paramenti, che vogliono sottolineare la dimensione penitenziale della celebrazione. Il Pontefice inizia l’omelia indicando proprio il motivo per il quale si è recato a Lampedusa: l’ennesima tragedia della migrazione. Una notizia, ha detto, che è stata “come una spina nel cuore che porta sofferenza”, pensare a quelle barche che “invece di essere una via di speranza sono state una via di morte”:
“E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta, per favore!”.
Il Papa non manca però di ricordare subito, con gratitudine, quanti, a Lampedusa come a Linosa, mostrano attenzione per le persone che viaggiano “verso qualcosa di migliore”:
“Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà! Grazie!”.
E ringrazia espressamente il sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini, e l’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, per quello che fa, per l’aiuto, la sua vicinanza pastorale. Poi aggiunge:
“Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: O’ Scià!”
Il Papa ha così rivolto il pensiero alle domande che le letture del giorno suscitano alla coscienza di ogni uomo, di ogni tempo. “Adamo, dove sei?”, “Caino dov’è il tuo fratello”. Con il peccato, ha osservato, si rompe l’armonia e l’altro “non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere”. L’uomo diventa allora “disorientato” perché ha perso “il suo posto nella creazione” e crede “di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio”:
“Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito”.
“Dov’è tuo fratello?”, domanda ancora il Papa. Questa, ha ribadito, “non è una domanda rivolta ad altri”, ma a ciascuno di noi:
“Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio!”
Quindi, ha denunciato con forza l’azione dei trafficanti, “quelli che sfruttano la povertà degli altri” e ne fanno “una fonte di guadagno”. Richiamando poi l’opera letteraria spagnola Fuente Ovejuna, ha evidenziato che anche oggi, come nella commedia di Lope de Vega, siamo portati a rispondere “tutti e nessuno” quando vengono chieste le nostre responsabilità:
“Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: ‘Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?’. Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna”.
Papa Francesco ha soggiunto che “siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano”. Anche noi, ha avvertito, “guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo ‘poverino’, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto”:
La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza! Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”.
Ritorna, ha detto il Papa, “la figura dell’Innominato di Manzoni”. La “globalizzazione dell’indifferenza – ha constatato con amarezza – ci rende tutti ‘innominati’, responsabili senza nome e senza volto”. Papa Francesco ha dunque levato una terza, drammatica domanda: “Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?”:
“Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del ‘patire con’: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!”.
Nel Vangelo, ha detto ancora, abbiamo ascoltato il grido di Rachele che piange la morte dei suoi figli. Erode, ha detto, “ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi”:
“Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo. ‘Chi ha pianto?’. Chi ha pianto oggi nel mondo?”.
Il Papa ha concluso l’omelia chiedendo perdono al Signore per “l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle”, per “l’anestesia del cuore” causata dal chiuderci nel nostro benessere. “Chiediamo perdono – ha detto – per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi”. Al termine della celebrazione, l’arcivescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro, ha sintetizzato la gioia, la gratitudine e la commozione della gente di Lampedusa, migranti e comunità locale:
“Santo Padre, nel Suo abbraccio ci sentiamo tutti accolti, coloro che soffrono, e gli artigiani della pace che hanno fame e sete di giustizia. La Sua presenza e le parole da Lei pronunciate sono di sostegno sia per i nostri fratelli immigrati sia per le comunità di Lampedusa e Linosa che tante volte hanno portato un peso troppo grande facendosi carico di situazioni difficili affrontate sempre con grande generosità e amore. Grazie ancora Santo Padre!”.
Parole a cui ha risposto il Papa con un nuovo grazie ai lampedusani e, in particolare al parroco don Stefano Nastasi e alla sua comunità, per essere faro di solidarietà nell’accogliere con coraggio ma anche con “tenerezza” quanti cercano una vita migliore:
“Voglio ringraziarvi una volta in più, a voi lampedusani, per l’esempio di amore, per l’esempio di carità, per l’esempio di accoglienza che ci state dando, che avete dato e che ancora ci date. (…) Grazie a voi e grazie a lei, don Stefano”

domenica 7 luglio 2013

Il Papa all'Angelus: non abbiate paura della gioia che porta Dio nella vita.

“Perché l’Amore di Cristo maturi sempre più nella loro vita”. Ha chiesto il Papa a tutti i fedeli di pregare per i giovani in cammino vocazionale, “perché diventino veri missionari del regno di Dio”. Ispirato dal Vangelo domenicale Francesco ha ricordato che “Gesù non è un missionario isolato” “ma coinvolge i suoi discepoli”.
“Questo è molto bello! Gesù non vuole agire da solo, è venuto a portare nel mondo l’amore di Dio e vuole diffonderlo con lo stile della comunione, con lo stile della fraternità”.
Per questo forma subito una comunità missionaria di discepoli.
"Subito li allena alla missione, ad andare. Ma attenzione: lo scopo non è socializzare, passare il tempo insieme, no, lo scopo è annunciare il Regno di Dio, e questo è urgente!, e anche oggi è urgente! Non c’è tempo da perdere in chiacchiere, non bisogna aspettare il consenso di tutti, bisogna andare e annunciare. A tutti si porta la pace di Cristo, e se non la accolgono, si va avanti uguale".
“Quanti missionari “seminano vita salute, conforto alle periferie del mondo”, ha esclamato il Papa
“Che bello è questo, non vivere per se stesso, non vivere per se stessa, ma vivere per andare a fare del bene!”
Poi rivolto alle migliaia di giovani presenti in piazza san Pietro:
"Voi siete coraggiosi per questo, avete coraggio di sentire la voce di Gesù? E’ bello essere missionari!... Ah, siete bravi, mi piace questo!”
I discepoli di Gesù – ha chiarito il Papa - non rappresentano solo i ministri ordinati, i presbiteri e diaconi ma anche i catechisti e i fedeli laici impegnati con i malati o gli emarginati ma “sempre come missionari del Vangelo”. E se Gesù dà ai suoi discepoli “la forza di sconfiggere il maligno”, questa è opera sua.
“Non dobbiamo vantarci come se fossimo noi i protagonisti: protagonista è uno solo, è il Signore! Protagonista è la grazia del Signore! Lui è l'unico protagonista! E la nostra gioia è solo questa: essere suoi discepoli, suoi amici. Ci aiuti la Madonna ed essere buoni operai del Vangelo".
Quindi il richiamo a non avere paura di essere gioiosi nell’accogliere il Signore:
“Non abbiate paura della gioia. Gioia e coraggio!”
Dopo la preghiera mariana, Francesco ha affidato a Maria la Lettera Enciclica Lumen Fidei, iniziata da Benedetto XVI, a seguire quelle sulla carità e sulla speranza. Un testo, ha detto, che “può essere utile anche a chi è alla ricerca di Dio e del senso della vita”.
"Io ho raccolto questo bel lavoro e l’ho portato a termine. Lo offro con gioia a tutto il Popolo di Dio: tutti infatti, specialmente oggi, abbiamo bisogno di andare all’essenziale della fede cristiana, di approfondirla, e di confrontarla con le problematiche attuali".
Infine i saluti, in particolare alle Suore Rosminiane e Francescane Angeline riunite per il Capitolo generale e ai giovani della diocesi di Roma in partenza per la GMG a Rio de Janeiro in Brasile.
“Cari giovani, anch’io mi sto preparando! Camminiamo insieme verso questa grande festa della fede; la Madonna ci accompagni e ci troveremo laggiù”.Angelus di F