Translate

martedì 29 ottobre 2013

IL MOMENTO DEL SILENZIO


Carissimi fratelli e sorelle,è giunto per me il tempo del silenzio e della preghiera,per prepararmi a ciò che verrà.

Alla vigilia della festività dei Santi e dei defunti 
sento forte,questo richiamo del PADRE mio,perché tutto ciò che doveva essere detto è stato detto.
ORA è tempo di PREGHIERA E OFFERTA al mio amato Gesù. 
Sono molto felice di aver portato a quante più anime possibili la parola di DIO. 
Ora è giusto lasciare la piena azione allo 
SPIRITO SANTO;
il PARACLITO,
Colui che ci ammaestra ad essere veri ed umili figlio del PADRE,ricapitolando tutto in CRISTO per mezzo del Cuore Immacolato di MARIA SS. nostra Madre,con la protezione di San GIUSEPPE suo sposo e nostro protettore.
Vi auguro di trovare tutti la VERA PACE in Gesù Cristo Re dell'Universo,di trovare in Lui la Via,Verità e Vita per i tempi che ci attendono.
In Lui unica e vera roccia  di salvezza affido voi e le vostre famiglie.
Che DIO PADRE ONNIPOTENTE Trino e Uno vi,e ci BENEDICA,nella potenza del Suo Santo Spirito,nel nome del Glorioso Suo figlio Cristo Gesù.

Nel nome del Padre,del Figlio e dello Spirito Santo,Amen!

Love Jesus

Maranathà-Vieni Signore Gesù!

Jesus is coming back


venerdì 25 ottobre 2013

Il Papa: la lotta di un cristiano contro il male è anche confessare con sincerità e concretezza i peccati.


Per molti credenti adulti, confessarsi davanti al sacerdote è uno sforzo insostenibile – che induce sovente a scansare il Sacramento – o una pena tale che al dunque trasforma un momento di verità in un esercizio di finzione. San Paolo, nella Lettera ai Romani commentata da Papa Francesco, fa esattamente il contrario: ammette pubblicamente davanti alla comunità che nella “sua carne non abita il bene”. Afferma di essere uno “schiavo” che non fa il bene che vuole, ma compie il male che non vuole. Questo accade nella vita di fede, osserva il Papa, per cui “quando voglio fare il bene, il male è accanto a me”:
“E questa è la lotta dei cristiani. E’ la nostra lotta di tutti i giorni. E noi non sempre abbiamo il coraggio di parlare come parla Paolo su questa lotta. Sempre cerchiamo una via di giustificazione: ‘Ma sì, siamo tutti peccatori’. Ma, lo diciamo così, no? Questo lo dice drammaticamente: è la lotta nostra. E se noi non riconosciamo questo, mai possiamo avere il perdono di Dio. Perché se l’essere peccatore è una parola, un modo di dire, una maniera di dire, non abbiamo bisogno del perdono di Dio. Ma se è una realtà, che ci fa schiavi, abbiamo bisogno di questa liberazione interiore del Signore, di quella forza. Ma più importante qui è che per trovare la via d’uscita, Paolo confessa alla comunità il suo peccato, la sua tendenza al peccato. Non la nasconde”.
La confessione dei peccati fatta con umiltà è ciò “che la Chiesa chiede a tutti noi”, ricorda Papa Francesco, che cita anche l’invito di S. Giacomo: “Confessate tra voi i peccati”. Ma “non – chiarisce il Papa – per fare pubblicità”, ma “per dare gloria a Dio” e riconoscere che è “Lui che mi salva”. Ecco perché, prosegue il Papa, per confessarsi si va dal fratello, “il fratello prete”: è per comportarsi come Paolo. Soprattutto, sottolinea, con la stessa “concretezza”:
“Alcuni dicono: ‘Ah, io mi confesso con Dio’. Ma è facile, è come confessarti per e-mail, no? Dio è là lontano, io dico le cose e non c’è un faccia a faccia, non c’è un quattrocchi. Paolo confessa la sua debolezza ai fratelli faccia a faccia. Altri: ‘No, io vado a confessarmi’ ma si confessano di cose tanto eteree, tanto nell’aria, che non hanno nessuna concretezza. E quello è lo stesso che non farlo. Confessare i nostri peccati non è andare ad una seduta di psichiatria, neppure andare in una sala di tortura: è dire al Signore ‘Signore sono peccatore’, ma dirlo tramite il fratello, perché questo dire sia anche concreto. ‘E sono peccatore per questo, per questo e per questo’”.
Concretezza, onestà e anche – soggiunge Papa Francesco – una sincera capacità di vergognarsi dei propri sbagli: non ci sono viottoli in ombra alternativi alla strada aperta che porta al perdono di Dio, a percepire nel profondo del cuore il suo perdono e il suo amore. E qui il Papa indica chi imitare, i bambini: “I piccoli hanno quella saggezza: quando un bambino viene a confessarsi, mai dice una cosa generale. ‘Ma, padre ho fatto questo e ho fatto questo a mia zia, all’altro ho detto questa parola’ e dicono la parola. Ma sono concreti, eh? Hanno quella semplicità della verità. E noi abbiamo sempre la tendenza di nascondere la realtà delle nostre miserie. Ma c’è una cosa bella: quando noi confessiamo i nostri peccati come sono alla presenza di Dio, sempre sentiamo quella grazia della vergogna. Vergognarsi davanti a Dio è una grazia. E’ una grazia: ‘Io mi vergogno’. Pensiamo a Pietro quando, dopo il miracolo di Gesù nel lago: ‘Ma, Signore, allontanati da me, io sono peccatore’. Si vergognava del suo peccato davanti alla santità di Gesù Cristo”.

Osea 4:6 Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza.

Osea 4:6 
Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza.

giovedì 24 ottobre 2013

Il Papa: i cristiani prendano sul serio la propria fede, non vivano all'acqua di rosa.


Prima e dopo Gesù. Papa Francesco ha svolto la sua omelia, prendendo spunto dal passaggio della Lettera ai Romani incentrato sul mistero della nostra redenzione. L’Apostolo Paolo, ha osservato il Papa, “cerca di spiegarci questo con la logica del prima e dopo: prima di Gesù e dopo di Gesù”. San Paolo considera il prima “spazzatura”, mentre il dopo è come una nuova creazione. E ci indica “una strada per vivere secondo questa logica del prima e dopo”:
“Siamo stati ri-fatti in Cristo! Quello che ha fatto Cristo in noi è una ri-creazione: il sangue di Cristo ci ha ri-creato. E’ una seconda creazione! Se prima tutta la nostra vita, il nostro corpo, la nostra anima, le nostre abitudini erano sulla strada del peccato, dell’iniquità, dopo questa ri-creazione dobbiamo fare lo sforzo di camminare sulla strada della giustizia, della santificazione. Utilizzate questa parola: la santità. Tutti noi siamo stati battezzati: in quel momento, i nostri genitori - noi eravamo bambini - a nome nostro, hanno fatto l’Atto di fede: ‘Credo in Gesù Cristo”, che ci ha perdonato i peccati’. Credo in Gesù Cristo!”.
Questa fede in Gesù Cristo, ha proseguito, “dobbiamo riassumerla” e “portarla avanti col nostro modo di vivere”. E ha aggiunto: “vivere da cristiano è portare avanti questa fede in Cristo, questa ri-creazione”. E con la fede, ha detto, portare avanti le opere che nascono da questa fede, “opere per la santificazione”. Dobbiamo portare avanti, ha ribadito, “la prima santificazione che tutti noi abbiamo ricevuto nel Battesimo”:
“Davvero noi siamo deboli e tante volte, tante volte, facciamo peccati, imperfezioni… E questo è sulla strada della santificazione? Sì e no! Se tu ti abitui: ‘Ho una vita un po’ così, ma io credo in Gesù Cristo, ma vivo come voglio’… Eh, no, quello non ti santifica; quello non va! E’ un controsenso! Ma se tu dici: ‘Io, sì, sono peccatore; io sono debole’ e vai sempre dal Signore e gli dici: ‘Ma, Signore, tu hai la forza, dammi la fede! Tu puoi guarirmi!’. E nel Sacramento della riconciliazione ti fai guarire, sì anche le nostre imperfezioni servono a questa strada di santificazione. Ma sempre questo è: prima e dopo”.
“Prima dell’Atto di Fede, prima dell’accettazione di Gesù Cristo che ci ha ri-creati col suo sangue – ha ripreso il Papa – eravamo sulla strada dell’ingiustizia”. Dopo, invece, “siamo sulla strada della santificazione, ma dobbiamo prenderla sul serio!” E, ha soggiunto, per prenderla sul serio, bisogna fare le opere di giustizia, opere “semplici”: “adorare Dio: Dio è il primo sempre! E poi fare ciò che Gesù ci consiglia: aiutare gli altri”. Queste opere, ha rammentato, “sono le opere che Gesù ha fatto nella sua vita: opere di giustizia, opere di ri-creazione”. “Quando noi diamo da mangiare a un affamato”, ha detto, “ri-creiamo in lui la speranza. E così con gli altri”. Se invece “accettiamo la fede e poi non la viviamo – ha avvertito - siamo cristiani soltanto a memoria”:
“Senza questa coscienza del prima e del dopo della quale ci parla Paolo, il nostro cristianesimo non serve a nessuno! E più: va sulla strada dell’ipocrisia. ‘Mi dico cristiano, ma vivo come pagano!’. Alcune volte diciamo ‘cristiani a metà cammino’, che non prendono sul serio questo. Siamo santi, giustificati, santificati per il sangue di Cristo: prendere questa santificazione e portarla avanti! E non si prende sul serio! Cristiani tiepidi: ‘Ma, sì, sì; ma, no, no’. Un po’ come dicevano le nostre mamme: ‘cristiano all’acqua di rosa, no!’. Un po’ così… Un po’ di vernice di cristiano, un po’ di vernice di catechesi… Ma dentro non c’è una vera conversione, non c’è questa convinzione di Paolo: ‘Tutto ho lasciato perdere e considero spazzatura, per guadagnare Cristo e essere trovato in Lui’”.
Questa, ha detto, “era la passione di Paolo e questa è la passione di un cristiano!” Bisogna, ha proseguito, “lasciare perdere tutto quello che ci allontana da Gesù Cristo” e “fare tutto nuovo: tutto è novità in Cristo!”. E questo, è stato l’incoraggiamento del Papa, “si può fare”. Lo ha fatto San Paolo, ma anche tanti cristiani: “non solo i santi, quelli che conosciamo; anche i santi anonimi, quelli che vivono il cristianesimo sul serio”. La domanda che, dunque, oggi possiamo farci, ha detto, è proprio se vogliamo vivere il cristianesimo sul serio, se vogliamo portare avanti questa ri-creazione. “Chiediamo a San Paolo – ha concluso Papa Francesco – che ci dia la grazia di vivere come cristiani sul serio, di credere davvero che siamo stati santificati per il sangue di Gesù Cristo”.

mercoledì 23 ottobre 2013

Udienza generale. Il Papa: la Chiesa non è un'agenzia umanitaria, ma come Maria porti l'amore di Gesù.


All’udienza generale di stamani, alla presenza di oltre centomila fedeli, Papa Francesco, proseguendo la sua catechesi sulla Chiesa, ha meditato su “Maria come immagine e modello della Chiesa. Lo faccio – ha detto - riprendendo un’espressione del Concilio Vaticano II. Dice la Costituzione Lumen gentium: «Come già insegnava Sant’Ambrogio, la Madre di Dio è figura della Chiesa nell’ordine della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo» (n. 63)”.
Il Papa è partito dal primo aspetto, Maria come modello di fede. “In che senso – ha domandato il Papa - Maria rappresenta un modello per la fede della Chiesa? Pensiamo a chi era la Vergine Maria: una ragazza ebrea, che aspettava con tutto il cuore la redenzione del suo popolo. Ma in quel cuore di giovane figlia d’Israele c’era un segreto che lei stessa ancora non conosceva: nel disegno d’amore di Dio era destinata a diventare la Madre del Redentore. Nell’Annunciazione, il Messaggero di Dio la chiama “piena di grazia” e le rivela questo progetto. Maria risponde “sì” e da quel momento la fede di Maria riceve una luce nuova: si concentra su Gesù, il Figlio di Dio che da lei ha preso carne e nel quale si compiono le promesse di tutta la storia della salvezza. La fede di Maria è il compimento della fede d’Israele, in Lei è proprio concentrato tutto quel cammino, tutta quella strada di quel popolo di fede, che aspettava la redenzione, e in questo senso è il modello della fede della Chiesa, che ha come centro Cristo, incarnazione dell’amore infinito di Dio”.
“E Maria – ha proseguito il Papa - come ha vissuto questa fede? L’ha vissuta nella semplicità delle mille occupazioni e preoccupazioni quotidiane di ogni mamma, come provvedere il cibo, il vestito, la cura della casa... Proprio questa esistenza normale della Madonna fu il terreno dove si svolse un rapporto singolare e un dialogo profondo tra lei e Dio, tra lei e il suo Figlio. Il “sì” di Maria, già perfetto all’inizio, è cresciuto fino all’ora della Croce. E lì la sua maternità si è dilatata abbracciando ognuno di noi, la nostra vita, per guidarci al suo Figlio. Maria è vissuta sempre immersa nel mistero di Dio fatto uomo, come sua prima e perfetta discepola, meditando ogni cosa nel suo cuore alla luce dello Spirito Santo, per comprendere e mettere in pratica tutta la volontà di Dio. Noi possiamo farci una domanda: ci lasciamo illuminare dalla fede di Maria, che è Madre nostra? Oppure la pensiamo lontana, troppo diversa da noi? Nei momenti di difficoltà, di prova, di buio, guardiamo a lei come modello di fiducia in Dio, che vuole sempre e soltanto il nostro bene? Pensiamo a questo. Forse ci farà bene ritrovare Maria come modello e figura della Chiesa in questa fede che lei aveva”.
Papa Francesco affronta poi il secondo aspetto: “Maria modello di carità. In che modo Maria è per la Chiesa esempio vivente di amore? Pensiamo alla sua disponibilità nei confronti della parente Elisabetta. Visitandola, la Vergine Maria non le ha portato soltanto un aiuto materiale, anche questo, ma ha portato Gesù, che già viveva nel suo grembo. Portare Gesù in quella casa voleva dire portare la gioia, la gioia piena. Elisabetta e Zaccaria erano felici per la gravidanza che sembrava impossibile alla loro età, ma è la giovane Maria che porta loro la gioia piena, quella che viene da Gesù e dallo Spirito Santo e si esprime nella carità gratuita, nel condividere, nell’aiutarsi, nel comprendersi”.
“La Madonna – ha sottolineato il Papa - vuole portare anche a noi, a noi tutti, il grande dono che è Gesù; e con Lui ci porta il suo amore, la sua pace, la sua gioia. Così la Chiesa: è come Maria. La Chiesa non è un negozio, la Chiesa non è un’agenzia umanitaria, la Chiesa non è una ong, la Chiesa è mandata a portare a tutti Cristo e il suo Vangelo. Questa è la Chiesa: non porta se stessa, se è piccola, se è grande, se è forte, se è debole, ma la Chiesa porta Gesù. E la Chiesa deve essere come Maria, quando è andata – lo abbiamo sentito nel Vangelo – quando è andata a fare la visita ad Elisabetta. Cosa portava Maria? Gesù! E la Chiesa porta Gesù. E questo è il centro della Chiesa, eh? Portare Gesù. Se - un’ipotesi – una volta succedesse che la Chiesa non porta Gesù, quella è una Chiesa morta. Capito? Deve portare Gesù? E deve portare la carità di Gesù, l’amore di Gesù, la forza di Gesù.
“E noi che siamo la Chiesa – ha detto ancora il Papa - ma ognuno di noi, qual è l’amore che portiamo agli altri? E’ l’amore di Gesù, che condivide, che perdona, che accompagna, o è un amore troppo, troppo allungato, no? Quando si allunga il vino tanto che sembra acqua. E’ così il nostro amore? O è un amore forte o tanto debole che segue le simpatie, che cerca il contraccambio? Un amore interessato”. Il Papa pone un’altra domanda: “A Gesù piace l’amore interessato o non piace? Piace? Ah, non siete ben convinti, eh? Piace o non piace? Non piace! L’amore deve essere l’amore gratuito, come era l’amore di Lui. Come sono i rapporti nelle nostre parrocchie, nelle nostre comunità? Ci trattiamo da fratelli e sorelle? O ci giudichiamo, parliamo male gli uni degli altri? Ma, io ho sentito che qui a Roma nessuno parla male dell’altro, e quello è vero? ‘Non so. Io lo dico’. Curiamo ciascuno il proprio ‘orticello’ o ci curiamo l’uno all’altro? Sono domande di carità”.
Infine, il Papa ha sviluppato un ultimo aspetto: “Maria è modello di unione con Cristo. La vita della Vergine Santa è stata la vita di una donna del suo popolo: Maria pregava, Maria lavorava, andava alla sinagoga… Però ogni azione era compiuta sempre in unione perfetta con Gesù. Questa unione raggiunge il culmine sul Calvario: qui Maria si unisce al Figlio nel martirio del cuore e nell’offerta della vita al Padre per la salvezza dell’umanità. La Madonna ha fatto proprio il dolore del Figlio ed ha accettato con Lui la volontà del Padre, in quella obbedienza che porta frutto, che dona la vera vittoria sul male e sulla morte. E’ molto bella questa realtà che Maria ci insegna: l’essere sempre uniti a Gesù. Possiamo chiederci: ci ricordiamo di Gesù solo quando qualcosa non va e abbiamo bisogno, o il nostro è un rapporto costante, un’amicizia profonda, anche quando si tratta di seguirlo sulla via della croce?”.
Questa la preghiera conclusiva del Papa: “Chiediamo al Signore che ci doni la sua grazia, la sua forza, affinché nella nostra vita e nella vita di ogni comunità ecclesiale si rifletta il modello di Maria, Madre della Chiesa”.
Nei saluti nelle varie lingue il Papa ha invitato a chiedere, “in modo particolare in questo mese di ottobre, con la preghiera del Rosario, la pace per il mondo e il ritorno ai valori evangelici”. Il mese di ottobre – ha detto infatti – „ci incoraggia a perseverare nella recita quotidiana del Rosario, possibilmente in famiglia, affinché si rifletta anche nella Chiesa domestica il modello di Maria. Il segreto della sua serenità e fiducia si trovava in questa certezza: «Nulla è impossibile a Dio»”.

martedì 22 ottobre 2013

Il Papa: Dio non ci salva per decreto, si immischia con noi per guarire le nostre ferite.


Per entrare nel mistero di Dio non basta l’intelligenza, ma servono “contemplazione, vicinanza e abbondanza”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha preso spunto dalla Prima Lettura di oggi, un brano della Lettera di San Paolo ai Romani. La Chiesa, ha detto il Papa, “quando vuole dirci qualcosa” sul mistero di Dio, “soltanto usa una parola: meravigliosamente”. Questo mistero, ha proseguito, è “un mistero meraviglioso”:
“Contemplare il mistero, questo che Paolo ci dice qui, sulla nostra salvezza, sulla nostra redenzione, soltanto si capisce in ginocchio, nella contemplazione. Non soltanto con l’intelligenza. Quando l’intelligenza vuole spiegare un mistero, sempre – sempre! – diventa pazza! E così è accaduto nella Storia della Chiesa. La contemplazione: intelligenza, cuore, ginocchia, preghiera … tutto insieme, entrare nel mistero. Quella è la prima parola che forse ci aiuterà”.
La seconda parola che ci aiuterà ad entrare nel mistero, ha detto, è “vicinanza. “Un uomo ha fatto il peccato - ha rammentato - un uomo ci ha salvato”. “E’ il Dio vicino!” E’, ha proseguito, “vicino a noi, alla nostra storia”. Dal primo momento, ha aggiunto, “quando ha scelto nostro Padre Abramo, ha camminato con il suo popolo”. E questo si vede anche con Gesù che fa “un lavoro di artigiano, di operaio”:
“A me, l’immagine che viene è quella dell’infermiere, dell’infermiera in un ospedale: guarisce le ferite ad una ad una, ma con le sue mani. Dio si coinvolge, si immischia nelle nostre miserie, si avvicina alle nostre piaghe e le guarisce con le sue mani, e per avere mani si è fatto uomo. E’ un lavoro di Gesù, personale. Un uomo ha fatto il peccato, un uomo viene a guarirlo. Vicinanza. Dio non ci salva soltanto per un decreto, una legge; ci salva con tenerezza, ci salva con carezze, ci salva con la sua vita, per noi”.
La terza parola, ha ripreso il Papa, è “abbondanza”. “Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia”. “Ognuno di noi – ha osservato – sa le sue miserie, le conosce bene. E abbondano!” Ma, ha evidenziato, “la sfida di Dio è vincere questo, guarire le piaghe" come ha fatto Gesù. Anzi di più: “fare quel regalo sovrabbondante del suo amore, della sua grazia”. E così, ha avvertito Papa Francesco, “si capisce quella preferenza di Gesù per i peccatori”:
“Nel cuore di questa gente abbondava il peccato. Ma Lui andava da loro con quella sovrabbondanza di grazia e di amore. La grazia di Dio sempre vince, perché è Lui stesso che si dona, che si avvicina, che ci accarezza, che ci guarisce. E per questo ma, forse ad alcuni di noi non piace dire questo, ma quelli che sono più vicini al cuore di Gesù sono i più peccatori, perché Lui va a cercarli, chiama tutti: ‘Venite, venite!’. E quando gli chiedono una spiegazione, dice: ‘Ma, quelli che hanno buona salute non hanno bisogno del medico; io sono venuto per guarire, per salvare’”.
Alcuni Santi – ha poi affermato – dicono che uno dei peccati più brutti sia la diffidenza: diffidare di Dio”. Ma, si chiede il Papa, “come possiamo diffidare di un Dio così vicino, così buono, che preferisce il nostro cuore peccatore?” Questo mistero, ha ribadito ancora, “non è facile capirlo, non si capisce bene, con l’intelligenza”. Soltanto, “forse, ci aiuteranno queste tre parole”: contemplazione, vicinanza e abbondanza. E’ un Dio, ha concluso il Papa, “che sempre vince con la sovrabbondanza della sua grazia, con la sua tenerezza”, “con la sua ricchezza di misericordia”.

lunedì 21 ottobre 2013

Il Papa: l'attaccamento ai soldi distrugge persone e famiglie, usiamo i beni che Dio ci dà per aiutare gli altri

“Questo è un problema di tutti i giorni. Quante famiglie distrutte abbiamo visto per il problema di soldi: fratello contro fratello; padre contro figlio… E’ questo il primo lavoro che fa questo atteggiamento dell’essere attaccato ai soldi, distrugge! Quando una persona è attaccata ai soldi, distrugge se stessa, distrugge la famiglia! I soldi distruggono! Fanno questo, no? Ti attaccano. I soldi servono per portare avanti tante cose buone, tanti lavori per sviluppare l’umanità, ma quando il tuo cuore è attaccato così, ti distrugge”.
Gesù racconta la parabola dell’uomo ricco, che vive per accumulare “tesori per sé” e “non si arricchisce presso Dio”. L’avvertimento di Gesù è quello di tenersi lontano da ogni cupidigia:
“E’ quello che fa male: la cupidigia nel mio rapporto con i soldi. Avere di più, avere di più, avere di più… Ti porta all’idolatria, ti distrugge il rapporto con gli altri! Non i soldi, ma l’atteggiamento, che si chiama cupidigia. Poi anche questa cupidigia ti ammala, perché ti fa pensare soltanto tutto in funzione dei soldi. Ti distrugge, ti ammala… E alla fine - questo è il più importante - la cupidigia è uno strumento dell’idolatria, perché va per la strada contraria a quella che ha fatto Dio con noi. San Paolo ci dice che Gesù Cristo, che era ricco, si è fatto povero per arricchire noi. Quella è la strada di Dio: l’umiltà, l’abbassarsi per servire. Invece la cupidigia ti porta per la strada contraria: tu, che sei un povero uomo, ti fai Dio per la vanità. E’ l’idolatria!”.
Per questo – prosegue il Papa - Gesù dice cose “tanto dure, tanto forti contro questo attaccamento al denaro. Ci dice che non si può servire due padroni: o Dio o il denaro. Ci dice di non preoccuparci, che il Signore sa di che cosa abbiamo bisogno” e ci invita “all’abbandono fiducioso verso il Padre, che fa fiorire i gigli dal campo e dà da mangiare agli uccelli”. L’uomo ricco della parabola continua a pensare solo alle ricchezze, ma Dio gli dice: “Stolto, questa notte ti sarà richiesta la tua vita!”. “Questa strada contraria alla strada di Dio – conclude il Papa - è una stoltezza, ti porta lontano dalla vita, distrugge ogni fraternità umana”:
“Il Signore ci insegna qual è il cammino: non è il cammino della povertà per la povertà. No! E’ il cammino della povertà come strumento, perché Dio sia Dio, perché Lui sia l’unico Signore! No l’idolo d’oro! E tutti i beni che abbiamo, il Signore ce li dà per fare andare avanti il mondo, andare avanti l’umanità, per aiutare, per aiutare gli altri. Rimanga oggi nel nostro cuore la Parola del Signore: ‘Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede'".

domenica 20 ottobre 2013

Il Papa all'Angelus invita a pregare “con insistenza” e ricorda che la missione cristiana “non è proselitismo”


Dio conosce tutto di noi, ma ci invita comunque a pregare “con insistenza”. Papa Francesco lo ha ricordato all’Angelus, prendendo spunto dalla parabola del Vangelo di oggi in cui Gesù parla della “necessità di pregare sempre, senza stancarsi”, come la vedova che, a forza di supplicare un giudice disonesto, riesce ad ottenere giustizia:
“Nel nostro cammino quotidiano, specialmente nelle difficoltà, nella lotta contro il male fuori e dentro di noi, il Signore non è lontano, è al nostro fianco; noi lottiamo con Lui accanto, e la nostra arma è proprio la preghiera, che ci fa sentire la sua presenza accanto a noi, la sua misericordia, anche il suo aiuto”.
La lotta contro il male, ha spiegato il Pontefice, è però “dura e lunga, richiede pazienza e resistenza”. In questa lotta “da portare avanti ogni giorno”, ha aggiunto, “Dio è il nostro alleato, la fede in Lui è la nostra forza, e la preghiera è l’espressione della fede”, perché “se si spegne la fede, si spegne la preghiera, e noi camminiamo nel buio, ci smarriamo nel cammino della vita”. La preghiera perseverante è quindi “espressione della fede in un Dio che ci chiama a combattere con Lui, ogni giorno, ogni momento, per vincere il male con il bene”. In questo impegno, il Santo Padre ha voluto menzionare le “tante donne che lottano per la propria famiglia, che pregano, che non si affaticano mai”:
“Un ricordo oggi, tutti noi, a queste donne che col loro atteggiamento ci danno una vera testimonianza di fede, di coraggio, un modello di preghiera. Un ricordo a loro”!
Dopo la preghiera mariana, Papa Francesco ha ricordato l’odierna Giornata Missionaria Mondiale, riflettendo sulla missione propria della Chiesa:
“Diffondere nel mondo la fiamma della fede, che Gesù ha acceso nel mondo: la fede in Dio che è Padre, Amore, Misericordia. Il metodo della missione cristiana non è il proselitismo, ma quello della fiamma condivisa che riscalda l’anima”.
Ringraziando tutti coloro che “con la preghiera e l’aiuto concreto sostengono l’opera missionaria, in particolare la sollecitudine del vescovo di Roma per la diffusione del Vangelo”, il pensiero del Santo Padre è andato a chi opera in ‘prima linea’ proclamando Cristo fino ai confini della Terra:
“In questa Giornata siamo vicini a tutti i missionari e le missionarie, che lavorano tanto senza far rumore, e danno la vita. Come l’italiana Afra Martinelli, che ha operato per tanti anni in Nigeria: qualche giorno fa è stata uccisa, per rapina; tutti hanno pianto, cristiani e musulmani. Le volevano bene!”
Afra Martinelli - ha proseguito il Papa, lanciando un applauso in sua memoria - “ha annunciato il Vangelo con la vita, con l’opera che ha realizzato, un centro di istruzione”, e così ha diffuso “la fiamma della fede, ha combattuto la buona battaglia”. Come anche Stefano Sándor, il salesiano laico proclamato Beato ieri a Budapest, in Ungheria. “Quando il regime comunista chiuse tutte le opere cattoliche - ha ricordato il Santo Padre - affrontò le persecuzioni con coraggio, e fu ucciso a 39 anni”. Quindi il pensiero del Papa è corso all’attualità, al sisma di martedì scorso nelle Filippine:
“Desidero esprimere la mia vicinanza alle popolazioni delle Filippine colpite da un forte terremoto, e vi invito a pregare per quella cara Nazione, che di recente ha subito diverse calamità”.
Tra i pellegrini presenti in piazza San Pietro, Papa Francesco ha quindi salutato i ragazzi che hanno dato vita alla manifestazione “100 metri di corsa e di fede”, promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura: “ci ricordate - ha detto - che il credente è un atleta dello spirito”. Ed ha concluso con un pensiero speciale:
“Oggi in Argentina si celebra la ‘Festa della mamma’: rivolgo un affettuoso saluto alle mamme della mia terra”.

giovedì 17 ottobre 2013

Il Papa: “cristiani ideologici” sono malattia grave, chiudono la porta che conduce a Gesù.


“Guai a voi, dottori della legge, che avete portato via la chiave della conoscenza!”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia, muovendo dall’avvertimento di Gesù, di cui parla il Vangelo odierno. Il Papa ha attualizzato questo monito. “Quando andiamo per strada e ci troviamo davanti una chiesa chiusa – ha affermato – sentiamo qualcosa di strano”, perché “una chiesa chiusa non si capisce”. A volte, ha sottolineato, “ci dicono spiegazioni” che non sono tali: “sono pretesti, sono giustificazioni, ma la realtà è che la chiesa è chiusa e la gente che passa davanti non può entrare”. E, ancora peggio, “il Signore che è dentro non può uscire”. Oggi, ha detto il Papa, Gesù ci parla di questa “immagine della chiusura”, è “l’immagine di quei cristiani che hanno in mano la chiave, ma la portano via, non aprono la porta”. Anzi peggio, “si fermano sulla porta” e “non lasciano entrare”, e così facendo “neppure loro entrano”. La “mancanza di testimonianza cristiana – ha osservato – fa questo” e “quando quel cristiano è un prete, un vescovo o un Papa è peggio”. Ma, si chiede Papa Francesco, come succede che un “cristiano cade in questo atteggiamento di chiave in tasca e porta chiusa?”:
“La fede passa, per così dire, per un alambicco e diventa ideologia. E l’ideologia non convoca. Nelle ideologie non c’è Gesù: la sua tenerezza, amore, mitezza. E le ideologie sono rigide, sempre. Di ogni segno: rigide. E quando un cristiano diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede: non è più discepolo di Gesù, è discepolo di questo atteggiamento di pensiero, di questo... E per questo Gesù dice loro: ‘Voi avete portato via la chiave della conoscenza’. La conoscenza di Gesù è trasformata in una conoscenza ideologica e anche moralistica, perché questi chiudevano la porta con tante prescrizioni”.
Gesù, ha proseguito il Papa, ce l’ha detto: “Voi caricate sulle spalle della gente tante cose; solo una è necessaria”. Questo è, dunque, il processo “spirituale, mentale” di chi vuole la chiave in tasca e la porta chiusa:
“La fede diventa ideologia e l’ideologia spaventa, l’ideologia caccia via la gente, allontana, allontana la gente e allontana la Chiesa dalla gente. Ma è una malattia grave, questa dei cristiani ideologici. E’ una malattia, ma non è nuova, eh? Già l’Apostolo Giovanni, nella sua prima Lettera, parlava di questo. I cristiani che perdono la fede e preferiscono le ideologie. Il suo atteggiamento è: diventare rigidi, moralisti, eticisti, ma senza bontà. La domanda può essere questa, no? Ma perché un cristiano può diventare così? Cosa succede nel cuore di quel cristiano, di quel prete, di quel vescovo, di quel Papa, che diventa così? Semplicemente una cosa: quel cristiano non prega. E se non c’è la preghiera, tu sempre chiudi la porta”.
“La chiave che apre la porta alla fede – ha aggiunto il Papa – è la preghiera”. E ha avvertito: “Quando un cristiano non prega, succede questo. E la sua testimonianza è una testimonianza superba”. Chi non prega è “un superbo, è un orgoglioso, è un sicuro di se stesso. Non è umile. Cerca la propria promozione”. Invece, ha affermato, “quando un cristiano prega, non si allontana dalla fede, parla con Gesù”. E, ha precisato, “dico pregare, non dico dire preghiere, perché questi dottori della legge dicevano tante preghiere” per farsi vedere. Gesù, invece, dice: “Quando tu preghi, va nella tua stanza e prega il Padre di nascosto, da cuore a cuore”. “Una cosa – ha detto ancora il Papa – è pregare e un’altra cosa è dire preghiere”:
“Questi non pregano, abbandonano la fede e la trasformano in ideologia moralistica, casuistica, senza Gesù. E quando un profeta o un buon cristiano li rimprovera, fanno lo stesso che hanno fatto con Gesù: ‘Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile – questi ideologici sono ostili – e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie – sono insidiosi – per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca’. Non sono trasparenti. Eh, poverini, sono gente sporcata dalla superbia. Chiediamo al Signore la grazia, primo: non smettere di pregare, per non perdere la fede, rimanere umili. E così non diventeremo chiusi, che chiudono la strada al Signore”.

mercoledì 16 ottobre 2013

Adorazione Eucaristica 24h

adorazione
LA PREGHIERA NOTTURNA 

Vogliamo dire qualcosa della preghiera notturna, qualcosa senza la pretesa di 
essere esaurienti, ma che possa dire un senso, una direzione a tutti coloro che 
vogliono condividere con noi questo tempo di preghiera. 

Nella propria giornata tipo Gesù è pronto a piegarsi sulle necessità di uomini e donne 
che accorrono a lui per ascoltare la sua parola e per essere guariti. E quando si fa 
notte, Gesù si ritira in disparte a pregare. Mentre il mondo dorme, lui veglia. 
Per Gesù pregare lungo la notte è fare ciò che ha sempre fatto dall’eternità: dialogare 
con il Padre. Cerca questa intimità, che non è semplicemente prendersi un po’ di 
tempo per sé, ma è un desiderio del cuore: amare Colui da cui è amato. È un tempo 
dato per prendere decisioni importanti, per dare concretezza alle vie di Dio; vie che 
prendono carne, la Sua carne benedetta. Perché il progetto eterno di Dio per la 
salvezza dell’uomo ha bisogno sempre di un grembo accogliente di fede e preghiera 
perché possa prendere forma. Ogni decisione importante, definitiva, richiede di essere 
fortificata e “difesa” dalla preghiera. 
La notte del Getzemani è l’esempio più chiaro: Gesù invita i discepoli a vegliare e 
pregare, perché li vorrebbe partecipi della sua lotta, vorrebbe il loro sostegno, 
vorrebbe renderli partecipi di quella decisione altrimenti incomprensibile. In 
quell’ora in cui l’amore del Padre e del Figlio per l’umanità raggiunge il suo apice, 
Gesù vuole che siamo con Lui. 
Dopo la resurrezione e il dono dello Spirito, inizia il cammino della Chiesa e coloro 
che sono abitati dallo stesso Spirito di Gesù sentono, da dentro, il desiderio e 
l’urgenza della preghiera notturna. Paolo testimonia veglie senza numero di cui ne 
troviamo una descritta negli Atti: “Verso la mezzanotte, pregando, Paolo e Sila 
cantavano inni a Dio”; e il risultato è una prigione che si apre, catene che si 
sciolgono, prigionieri che vengono liberati. 
E così il cuore di Cristo continua a palpitare nei suoi discepoli, giorno e notte. 
Anche Francesco amava pregare lungo la notte. Preghiera che nasceva da un 
desiderio di comunione profonda, un tempo prezioso cui non poteva rinunciare e che 
voleva custodire gelosamente. Cercava spesso occasioni per rimanere solo e poter 
passare lunghe notti in preghiera senza essere visto dai confratelli. Chi lo ospitava 
conosceva questo desiderio e preparava per lui le stanze più isolate. Fu proprio 
vedendolo pregare così intensamente durante la notte che Bernardo, il suo primo 
compagno, pensò di lui: “veramente quest’uomo è un uomo di Dio”. 
Anche Chiara aveva scoperto la segreta fonte di dolcezza e di intimità con Dio che 
scaturisce dalla preghiera notturna: “a lungo, dopo compieta, prega con le sorelle. 
Poi, mentre le altre andavano a dare riposo alle stanche membra sui duri giacigli, ella 
restava vigile e, quando le altre erano prese dal sonno, lei rimaneva invitta nella 
preghiera, per poter percepire furtivamente con il suo orecchio il soffio del sussurro 
di Dio”, dice il biografo. Il bisogno di stare con l’Amato, di prolungare il colloquio 
con Lui, di ascoltarlo… Chiara condivide con le sorelle il tempo privilegiato di 
preghiera della notte, quando tutto tace e la voce di Lui risuona maggiormente nel cuore, ma per un’innamorata come lei non bastano i tempi stabiliti: cerca momenti di 
solitudine e di intimità con Gesù, unico Amore della sua vita, che poi sapeva 
trasfondere nel servizio alle sorelle e nella compassione verso i fratelli che 
ricorrevano a lei. Era sua abitudine, a mattutino, chiamare lei le più giovani, 
svegliandole in silenzio con gesti, per invitarle alle lodi. Spesso accendeva le 
lampade alle altre mentre dormivano; spesso suonava la campana con le proprie 
mani: la dolcezza sperimentata nella preghiera fa nascere il desiderio di condividerla 
con chi si ama, di coinvolgere i fratelli e le sorelle per vivere la comunione in Cristo, 
diventando “missionari” nell’annuncio della bellezza della preghiera notturna. 

Pregare nella notte significa essere sentinelle che vegliano a nome di tutti, mani 
alzate che affidano a Dio l’intera umanità: quando il sole sorgerà e gli uomini 
cominceranno a muoversi, senza nemmeno saperlo saranno custoditi da 
un’intercessione e un amore che ha preceduto il loro andare. 
Dedicare a Dio il tempo del riposo significa dargli piena priorità nella propria vita, 
abbandonarsi a Lui e all’azione della grazia che riempie il cuore di chi prega e 
guiderà poi la sua giornata e tutta la sua vita. 
Per vedere brillare le stelle bisogna attendere il cuore della notte… 


Sr. Elisa, sr. Ester, fr. Mattia 

DIO non fa preferenze,siamo noi che dobbiamo preferire LUI


Rm 2,1-11

Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere, al Giudeo prima come al Greco.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Chiunque tu sia, o uomo che giudichi, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre giudichi l'altro, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti, fai le medesime cose. Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio contro quelli che commettono tali cose è secondo verità.
Tu che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, pensi forse di sfuggire al giudizio di Dio? O disprezzi la ricchezza della sua bontà, della sua clemenza e della sua magnanimità, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione?
Tu, però, con il tuo cuore duro e ostinato, accumuli collera su di te per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, che renderà a ciascuno secondo le sue opere: la vita eterna a coloro che, perseverando nelle opere di bene, cercano gloria, onore, incorruttibilità; ira e sdegno contro coloro che, per ribellione, disobbediscono alla verità e obbediscono all'ingiustizia.
Tribolazione e angoscia su ogni uomo che opera il male, sul Giudeo, prima, come sul Greco; gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il Giudeo, prima, come per il Greco: Dio infatti non fa preferenza di persone.

Il Papa alla Fao: fame nel mondo è scandalo, per vincerla serve coscienza solidale.


Fame e denutrizione non possono essere considerati “un fatto normale”: così Papa Francesco parla dell’emergenza cibo, “una delle sfide più serie per l’umanità". Il Papa denuncia individualismo, cultura dello scarto e indifferenza in materia, nel messaggio inviato alla Fao in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, che ricorre oggi con lo slogan “Le persone sane dipendono da sistemi alimentari sani. A leggere il messaggio del Papa alla Plenaria è stato mons. Luigi Travaglino, osservatore permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni e gli Organismi delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (F.A.O., I.F.A.D. e P.A.M.) Il servizio di Fausta Speranza:
“E’ uno scandalo che ci sia ancora fame e malnutrizione nel mondo!”. Non usa mezzi termini Papa Francesco chiedendo non solo di “rispondere ad emergenze immediate, ma di affrontare insieme, a tutti i livelli, un problema che interpella la nostra coscienza personale e sociale, per giungere ad una soluzione giusta e duratura”. E lancia un appello in particolare: “Nessuno sia costretto a lasciare la propria terra e il proprio ambiente culturale – dice – per la mancanza dei mezzi essenziali di sussistenza!”. Francesco riflette sul paradosso di una società segnata dalla globalizzazione che “permette di conoscere le situazioni di bisogno nel mondo e di moltiplicare gli scambi e i rapporti umani”, ma tendente all’individualismo e alla chiusura, a un certo atteggiamento di indifferenza, a livello personale, di Istituzioni e di Stati, verso chi muore per fame o soffre per denutrizione, “quasi fosse – afferma Papa Francesco – un fatto ineluttabile”.
“Ma fame e denutrizione non possono mai essere considerati un fatto normale al quale abituarsi quasi si trattasse di parte del sistema”, ribadisce il Papa affermando: “Qualcosa deve cambiare in noi stessi, nella nostra mentalità, nelle nostre società”. E il Papa chiede: educazione alla solidarietà, spiegando che è una “parola scomoda e messa molto spesso in disparte”. E chiede un cambio di mentalità: il Papa torna a parlare di “cultura dello scarto” e di “globalizzazione dell’indifferenza”. E poi mette denuncia quella che definisce la “schiavitù del profitto a tutti i costi” che – sottolinea – troviamo non solo nelle relazioni umane, “ma anche nelle dinamiche economico-finanziarie globali”. Per tutti vale riscoprire il valore della solidarietà – raccomanda il Papa – che non si deve ridurre all’assistenza ma deve “rendere le persone economicamente indipendenti”. Papa Francesco chiede inoltre che “diventi atteggiamento di fondo nelle scelte a livello politico, economico e finanziario, nei rapporti tra le persone, tra i popoli e tra le nazioni”. In sostanza significa – spiega il Papa – “mettere al centro sempre la persona e la sua dignità e mai svenderla alla logica del profitto”.
Papa Francesco ricorda che il 2014 sarà l’Anno internazionale della famiglia rurale per iniziativa della Fao. E dunque chiede di sostenere la famiglia perché è la prima comunità educativa, dove si può imparare “ad avere cura dell’altro, del bene dell’altro, ad amare l’armonia della creazione e a godere e condividere i suoi frutti, favorendo un consumo razionale, equilibrato e sostenibile”. Sostenere e tutelare la famiglia dunque “per camminare verso una società più equa e umana”.

Il Papa: la Chiesa è apostolica perché prega e annuncia Cristo. Se si chiude tradisce la sua identità.


 Francesco, sopra la papalina l’elmetto da pompiere |Foto
				Quando Gesù ha costituito il gruppo degli Apostoli ha formato una comunità essenzialmente missionaria, con due compiti principali: pregare Dio e annunciare il Vangelo. Su questa bimillenaria tradizione si fonda la Chiesa. Papa Francesco lo ha ribadito con forza all’udienza generale di questa mattina in Piazza san Pietro, davanti a oltre 70 mila persone. Il Papa ha esortato i cristiani a essere gli apostoli di oggi, senza chiudersi in sagrestia, perché – ha affermato – una “Chiesa chiusa tradisce la sua identità”. Di seguito ampi stralci della catechesi del Papa:
“Quando noi recitiamo il “Credo”, diciamo: «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». Non so se avete mai riflettuto sul significato che ha l’espressione «la Chiesa è apostolica». Forse, qualche volta, venendo a Roma, avete pensato all’importanza degli Apostoli Pietro e Paolo che qui hanno donato la loro vita per portare e testimoniare il Vangelo. Ma è di più.
Professare che la Chiesa è apostolica significa sottolineare il legame costitutivo che essa ha con gli Apostoli, con quel piccolo gruppo di dodici uomini che Gesù un giorno chiamò a sé, li chiamò per nome, perché rimanessero con Lui e per mandarli a predicare (cfr Mc 3,13-19). “Apostolo”, infatti, è una parola greca che vuol dire “mandato”, “inviato”. Un apostolo è una persona che è mandata, è inviata a fare qualcosa. E’ una parola forte e gli Apostoli sono stati scelti, chiamati e inviati da Gesù, per continuare la sua opera, cioè: pregare, è il primo lavoro di un apostolo. Pregare. E, secondo: annunciare il Vangelo”.
Ricordando come i primi Apostoli, non potendo affrontare da soli i molteplici impegni della Chiesa nascente, costituirono un gruppo di diaconi che condividessero alcune delle loro responsabilità, Papa Francesco ha precisato: “Loro hanno fatto i diaconi perché per loro ci fosse tempo per pregare e annunciare la Parola di Dio. E quando pensiamo ai successori degli apostoli – i vescovi: tutti i vescovi, anche il Papa è vescovo – dobbiamo chiederci se questo successore dell’apostolo prega – primo – e annuncia il Vangelo. E’ questo, essere apostolo, e per questo la Chiesa è apostolica. E tutti noi, se vogliamo essere apostoli – come spiegherò adesso – dobbiamo chiederci: “Io prego per la salvezza del mondo, e annuncio il Vangelo?”. Questa è la Chiesa apostolica. E’ un legame costitutivo che abbiamo con gli apostoli.Partendo proprio da questo vorrei sottolineare brevemente tre significati dell’aggettivo “apostolica” applicato alla Chiesa.
Primo: La Chiesa è apostolica perché è fondata sulla predicazione e la preghiera degli Apostoli, sull’autorità che è stata data loro da Cristo stesso. San Paolo scrive ai cristiani di Efeso: «Voi siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù» (2, 19-20); paragona, cioè, i cristiani a pietre vive che formano un edificio che è la Chiesa, e questo edificio è fondato sugli Apostoli – come colonne – e la pietra che sorregge tutto è Gesù stesso. Senza Gesù non può esistere la Chiesa: senza Gesù non c’è la Chiesa. Capito, questo? Gesù è proprio la base della Chiesa, il fondamento! Gli Apostoli hanno vissuto con Gesù, hanno ascoltato le sue parole, hanno condiviso la sua vita, soprattutto sono stati testimoni della sua Morte e Risurrezione. La nostra fede, la Chiesa che Cristo ha voluto, non si fonda su un’idea, non si fonda su una filosofia: si fonda su Cristo stesso. E la Chiesa anche è come una pianta che lungo i secoli è cresciuta, si è sviluppata, ha portato frutti, ma le sue radici sono ben piantate in Lui e l’esperienza fondamentale di Cristo che hanno avuto gli Apostoli, scelti e inviati da Gesù, giunge fino a noi: da quella pianta piccolina a questi giorni. E’ così, la Chiesa, per tutto il mondo.
Ma chiediamoci: come è possibile per noi collegarci con quella testimonianza, come può giungere fino a noi quello che hanno vissuto gli Apostoli con Gesù, quello che hanno ascoltato da Lui? Ecco il secondo significato del termine “apostolicità”. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che la Chiesa è apostolica perché «custodisce e trasmette, con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in essa, l’insegnamento, il buon deposito, le sane parole udite dagli Apostoli» (n. 857). La Chiesa conserva lungo i secoli questo prezioso tesoro, che è la Sacra Scrittura, la dottrina, i Sacramenti, il ministero dei Pastori, così che possiamo essere fedeli a Cristo e partecipare alla sua stessa vita. E’ come un fiume che scorre nella storia, si sviluppa, irriga, ma l’acqua che scorre è sempre quella che parte dalla sorgente, e la sorgente è Cristo stesso: Lui è il Risorto, Lui è il Vivente, e le sue parole non passano. Perché Lui non passa, Lui è vivo, Lui oggi è fra noi, qui. Lui ci sente quando noi parliamo con Lui, ci ascolta, Lui è nel nostro cuore: Gesù è con noi, oggi! E questa è la bellezza della Chiesa: la presenza di Gesù Cristo tra noi, che Gesù Cristo è vivo perché è risorto. Pensiamo mai a quanto è importante questo dono che Cristo ci ha fatto, il dono della Chiesa? Pensiamo mai a come è proprio la Chiesa nel suo cammino lungo questi secoli – nonostante difficoltà, problemi, le debolezze, i nostri peccati – che ci trasmette l’autentico messaggio di Cristo? Ci dona la sicurezza che ciò in cui crediamo è realmente ciò che Cristo ci ha comunicato?
. L’ultimo pensiero: la Chiesa è apostolica perché è inviata a portare il Vangelo a tutto il mondo. Continua nel cammino della storia la missione stessa che Gesù ha affidato agli Apostoli. Cosa ha detto Gesù? «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,19-20). Ma, questo è quello che Gesù ci ha detto di fare. Insisto su questo aspetto della missionarietà, perché Cristo invita tutti ad “andare” incontro agli altri, ci invia, ci chiede di muoverci per portare la gioia del Vangelo! Ancora una volta chiediamoci: siamo missionari con la nostra parola, ma soprattutto con la nostra vita cristiana? Con la nostra testimonianza? O siamo cristiano chiusi nel nostro cuore e nelle nostre chiese? Cristiani di sagrestia? Cristiani solo di parole, ma che vivono come pagani? Ma, dobbiamo farci queste cose, eh? Questo non è un rimprovero. Anche io lo dico a me: come sono cristiano? Con la testimonianza, davvero?
La Chiesa ha le sue radici nell’insegnamento degli Apostoli, testimoni autentici di Cristo, ma guarda sempre al futuro, ha la ferma coscienza di essere inviata, inviata da Gesù, di essere missionaria, portando il nome di Gesù, con la preghiera, l’annuncio e la testimonianza. Una Chiesa che si chiude in se stessa e nel passato o una Chiesa che soltanto guarda le piccole regole di abitudine, di atteggiamenti è una Chiesa che tradisce la propria identità. Una Chiesa chiusa tradisce la propria identità. Allora, riscopriamo oggi tutta la bellezza e la responsabilità di essere Chiesa apostolica! E ricordatevi, eh?: apostolica perché preghiamo – primo compito – e perché annunciamo il Vangelo con la nostra vita e anche con le parole. Grazie.